Non mi piace la retorica e rifuggo dai temi inflazionati.
Non posso però restare indifferente al pensiero che la vita di circa 150 persone si sia bruscamente interrotta, durante un momento che è comunque ormai parte delle nostre vite quotidiane come prendere un aereo per raggiungere una destinazione.
Un viaggio breve eppure fatale.
Non riesco a smettere di pensare a quelle persone che sono partite nella mattina di ieri, ignorando che quello sarebbe stato il loro ultimo giorno di vita.
Una mattina come tante altre, per qualcuno una risata in compagnia degli amici, il pianto di un bambino, la telefonata all’amante o al marito, il messaggino ai genitori per avvisare dell’imminente partenza: “Mamma, mi sto imbarcando“.
Non è nè la prima nè l’ultima volta che una tragedia del genere accade eppure ogni volta mi ferisce come una coltellata.
L’aereo per me è libertà, sogno, vita, speranza.
E’ un mezzo del quale io, e come me tanti altri viaggiatori, non potremmo mai fare a meno.
E quando invece il volo si traduce in morte, su tutta la bellezza di ciò cala il sipario: la fine dei desideri e del viaggiare.
Come se la nostra libertà di volare venisse negata, i nostri sogni gambizzati. E non solo quelli di coloro che su quell’Airbus A320 ci hanno perso la vita, ma un po’ quelli di tutti noi che per andare avanti abbiamo bisogno di viaggiare.
Un sentito, profondo abbraccio, per tutti i parenti, amici e conoscenti delle vittime. Non conoscevo alcuno di loro eppure mi ci sento profondamente vicina.
Con l’augurio che ad aspettarle, da qualche parte, ci sia davvero un mondo migliore.
La notizia dell’Ansa sulla tragedia avvenuta il 24 marzo 2015: Disastro aereo Airbus A320 Germanwings nel Sud della Francia